La morte di Massera - from “Il Fatto Quotidiano” - 15 nov. 2010
Marco Bechis blog, scritti pubblicati di Marco Bechis, NUOVA STAMPA Marco Bechis, stampa italiana
Emilio Eduardo Massera è morto ieri prima che i processi per strage a suo carico fossero conclusi. Oggi in Argentina ed in altri paesi tra cui l’Italia, si stanno svolgendo molti processi contro i responsabili dei 30 mila desaparecidos. E’ stata la risposta di una nuova generazione che ha reagito alle leggi di Obediencia Debida e Punto Final. A giugno 2010 ho ricevuto un biglietto prepagato da un Tribunale Argentino che mi invitava a testimoniare. Ecco una breve cronaca di quel viaggio.
A Buenos Aires il 6 luglio 2010 era un martedì d’inverno. Arrivai alle 9 del mattino al Tribunal Oral Comodoro Py di Retiro, passai il metal detector, mostrai il mio passaporto e attesi l’inizio dell’udienza. Ero uno dei testimoni del processo ABO: Atletico – Banco - Olimpo, tre dei tanti campi di concentramento che hanno funzionato, con grande efficienza, tra il 1976 ed il 1982 in Argentina. Entrando nell’aula mi trovai di fronte gli accusati, 15 ex militari, tutti in borghese, tutti in arresto. Sul volo Milano-Frankfurt-Baires mi ero chiesto che cosa avrei fatto quando mi sarei trovato di fronte i responsabili del mio sequestro e della scomparsa di centinaia di compagni. Per trovare una risposta, avevo provato la mia deposizione di fronte ad una videocamera, mi ero poi trascritto tutto, ma restava sempre oscuro che cosa mi sarebbe successo. Parlare in un’Aula di Tribunale non è come dibattere ad una trasmissione televisiva, mi sono detto. Andai allora ad ascoltare altre testimonianze, a Comodoro Py si svolgono diversi processi contemporaneamente, i campi di concentramento furono più di trecento. Al processo ESMA ricordo un cinquantenne, ex operaio del Porto, le sue parole lente, precise, misurate, le lunghe pause che gli permisero di reggere fino alla fine. Raccontò i suoi 22 giorni All’Escuela Mecanica de la Armada, campo di concentramento della Marina Militare, di cui Massera, il Comandante Zero, era il Capo Assoluto. Lui, il Comandante Zero, non era presente in Aula per ragioni di salute. Poi toccò al secondo testimone, che era stato sequestrato insieme al primo. I due ex operai erano stati torturati alternativamente. Ma, a differenza del precedente, il secondo testimone raccontava in modo concitato, gesticolava, si voltava spesso verso gli imputati urlando: “Bravi… coraggiosi questi! Picchiare una donna incinta! Picchiare uomini bendati e legati! Siete proprio coraggiosi!”. I “funzionari” dell’ESMA rimanevano impassibili, ce n’era uno, l’ex capitano della Marina, Ricardo M. Cavallo, che batteva i tasti del suo computer. Mi hanno detto che aggiorna quotidianamente il suo blog durante le udienze. All’improvviso qualcosa si ruppe nella voce del testimone che smise di parlare prendendosi la testa tra le mani. Il Presidente diede un quarto d’ora di pausa. Tra il pubblico presente si alzò il figlio del testimone e chiese il permesso per parlare a suo padre. Da lontano non so cosa si siano detti, ma lo calmò, lo rassicurò, ed il processo riprese. A volte solo i figli possono aiutare i padri.
Per evitare che i testimoni leggano un testo scritto da qualcun altro, il Tribunale Orale non permette fogli scritti, niente appunti. Quella mattina del 6 luglio entrai nell’Aula del Tribunal Oral senza guardare, neanche per un istante, i 16 militari in borghese presenti in aula. Mi chiesero le mie generalità, giurai di dire il vero e mentre il Pubblico Ministero mi faceva la prima domanda, lo interruppi e rivolgendomi alla signora Presidente del Tribunale, chiesi di essere messo alla pari, perché forse questi signori potevano riconoscermi - anche se il tempo passa per tutti - ma io certamente non potevo farlo, perché nel Club Atletico ero sempre bendato. Pretesi quindi che quei signori mi fossero presentati in modo da poterli identificare visivamente. La Presidente chiese alle parti se avessero qualcosa in contrario, le parti discussero, finalmente la giovane avvocatessa che difendeva gli ex militari acconsentì, ma pretese che quella mia stravagante richiesta fosse messa agli atti. A quel punto tirai fuori dalla tasca un foglio rigorosamente bianco ed una Bic; la Presidentessa, senza capire bene che cosa io stessi facendo, iniziò ad indicare uno per uno gli imputati, presentandomeli per nome e cognome. Erano 16, e mentre lei me li indicava, io li fissavo severamente e scrivevo il loro nomi e cognomi sul foglio. Uno per uno, come a scuola con i cattivi. E mentre stillavo la mia lista, leggevo nelle loro facce lo sgomento per quel gioco capovolto: avevano di fronte un ex prigioniero che li stava schedando. Poi, teatralmente, ho piegato il foglio, l’ho infilato nel taschino. A quel punto ero sicuro, non temevo più nulla. Il Pubblico Ministero mi fece la prima domanda.
Quei 15 uomini rischiano l’ergastolo, ma non hanno mai parlato, e come Massera si porteranno i loro segretinella tomba. Loro sanno dove sono state improvvisati i cimiteri clandestini, sanno chi è stato gettato vivo nell’Oceano, sanno dove sono i neonati oramai trentenni rubati alle loro madri, che vivono sotto falsa identità. Sanno e non parlano, una violenza inaudita. La morte di Massera è, come quella di ognuno di loro, la violenza ultima, perché con la loro morte quel silenzio diventa eterno.