Indigeni uno latifondo zero
Ma la riserva resta in bilico
Il Manifesto - 29 agosto 2008
di Andrea Palladino
Jôenia ha un viso attento, sa ascoltare. E’ una wapichana, indigena brasiliana, e dalla sua gente ha imparato lo sguardo limpido, incisivo. Cammina nel villaggio di Surumu, nell’estremo nord dell’Amazzonia, dove decine di capi tribu si sono riuniti per consultarsi. E’ donna, ed è la prima avvocatessa indigena che viene da questa terra, Raposa Serra do Sol, stato di Roraima. Ascolta, presta attenzione ad ogni parola, ad ogni particolare, ad ogni storia che i tuxaua, i leader delle 194 comunità indigene di questa terra, raccontano. Jôenia sa che quegli sguardi li dovrà portare a Brasilia, a migliaia di chilometri di distanza, dove giudici bianchi si riuniranno per dire a chi appartiene la loro terra.
E’ il 27 agosto, Jôenia Batista de Carvalho ha davanti a se 11 giudici costituzionali della suprema corte del Brasile. Devono decidere sulla vita o la morte dalla sua storia, di quelle comunità che lei conosce una ad una, per averle percorse fin da bambina. Il Brasile per un momento ha messo da parte la disputa calcistica, il carnevale, la violenza quotidiana che circonda i milioni di diseredati delle favelas. Il Brasile, oggi, guarda i 500 anni di colonialismo, li smaschera e per una volta li affronta a muso duro. E’ il giorno del giudizio per le popolazioni indigene del paese, è la sessione finale di una causa di legittimità costituzionale sul riconoscimento della terra indigena Raposa Serra do Sol, che dal 2005 - anno dell’omologazione - è stata contestata da politici, latifondisti, militari e da quella società bianca che la terra la conoscono solo come merce di scambio nelle manovre speculative.
Inizia a difendere la causa delle popolazioni indigene nella sua lingua, una delle centinaia di lingue che rendono l’Amazzonia un luogo unico e inviolabile. «Siamo stati accusati, calunniati, discriminati ed oggi tutto questo deve finire», racconta in un solo fiato. In gioco non c’è solo il suo popolo e la sua terra, che una petizione di costituzionalità vorrebbe rimettere in gioco. La decisione della corte suprema avrà un valore storico per tutte le terre indigene del Brasile. Lo sa Jôenia, lo sanno gli undici giudici della corte. «Oggi sono in gioco 500 anni di colonizzazione - continua -, abbiamo il diritto alla terra, a mantenere le nostre tradizioni».
Finisce la sua dissertazione con quella che è stata la principale accusa fatta da chi vorrebbe ridurre le terre indigene a piccole isole, separate tra loro: «Fa male sentire che noi indigeni siamo una minaccia alla sovranità del paese. I nostri antenati hanno portato sulle spalle le pietre miliari per segnare le frontiere del nostro paese». Poco prima l’avvocato che difendeva la causa dei latifondisti bianchi, che vorrebbero la terra degli indigeni per allargare le già immense piantagioni di riso e soia, aveva lanciato l’accusa di «traditori della patria». Gli indigeni sono cospiratori che vogliono le terre per creare stati autonomi, dice la destra rurale e reazionaria, che negli ultimi mesi ha alimentato le pagine dei giornali brasiliani, creando un clima da resa dei conti.
Il governo Lula sta difendendo fino all’ultimo la conquista dei diritti degli indigeni e il riconoscimento delle loro terre. L’avvocato dell’Unione che ha rappresentato il governo nella suprema corte - intervenuto pochi minuti prima della dissertazione di Jôenia - ha spiegato cosa in realtà sia in gioco. «Questa terra è il patrimonio dell’intera nazione brasiliana e - ha detto José Antonio Toffoli - la sicurezza delle frontiere è più a rischio se quelle terre fossero in mano a latifondisti privati». Smonta anche la falsa accusa che le terre indigene non creino ricchezza. Lo stato di Roraima - che si è distinto per la veemenza della difesa dei latifondisti - va dicendo da mesi che la vera ricchezza di quelle terre è il raccolto dei grandi latifondisti che hanno occupato abusivamente parte della riserva. «E’ falso - spiega il difensore del governo Lula - i soldi che entrano nelle casse dello stato dalla coltivazione del riso in Roraima sono pochissimi». Da quelle parti, infatti, i grandi coltivatori le tasse non le pagano e tutto il riso prodotto passa per la zona franca di Manaus, che gode dell’esenzione di molte imposte. E nessuno ha mai calcolato, invece, qual è la ricchezza prodotta dall’economia indigena. Ci prova Jôenia a fare due calcoli: «Siamo i principali allevatori di Roraima - racconta - abbiamo scuole, professori, migliaia di alunni». Elenca una ad una le conquiste del suo popolo, come gli agenti di salute, che sanno unire la medicina tradizionale con quella bianca.
E’ ormai sera quando prende la parola il relatore, il ministro Ayres Britto. Legge un centinaio di pagine, argomenta, divide il giudizio in tanti punti. Ma tutti aspettano l’ultima riga, il suo voto, considerato decisivo. Jôenia è vicina ai rappresentanti delle cinque etnie della sua terra, venuti a Brasilia per mostrare al paese quanto pesa per la loro storia quel voto. Ed è una liberazione quando il relatore respinge le richieste dei latifondisti e dei politici di Roraima, che avevano chiesto la revisione della demarcazione di Raposa Serra do Sol. E’ solo il primo degli undici voti, ma sanno che conta.
Passano pochi minuti e la sessione è sospesa. Il secondo giudice costituzionale che doveva votare ha chiesto un rinvio, per poter consultare gli atti. Una tattica per evitare la vittoria degli indigeni? E’ ancora presto per decifare come si stanno muovendo i poteri centrali di Brasilia. Di certo per il governo Lula questa è una battaglia non semplice, piena d’insidie. «Lo stato di diritto sta arrivando in Roraima e non tollereremo violenze», ha commentato ieri il ministro della giustizia del governo Lula Tarso Genro. Sa che sono tanti i nemici di quella democrazia che ieri ha visto per la prima volta un’avvocatessa indigena difendere la causa del suo popolo nella suprema corte. Sa che i politici di Roraima, legati a doppio filo con i latifondisti e con le multinazionali dell’agrobusiness, hanno ora il tempo necessario per preparare la prossima sessione, andando alla caccia dei voti dei giudici costituzionali. Per ora la votazione degli altri 10 giudici è stata rinviata sine die, ponendo però il limite per la conclusione del giudizio entro quest’anno. Una battaglia ancora lunga, che Lula e il Brasile non possono permettersi di perdere.