Italia sconfitta, svaniscono i sogni di «rinascimento»
Corriere della Sera - 7 settembre
di Paolo Mereghetti
Solo Bechis avrebbe potuto sperare in un riconoscimento
VENEZIA — Una cosa è chiara: a questa giuria sono piaciuti pochissimi film dei 21 in concorso. Lo fanno capire le due Oselle (i premi ai contributi tecnici e artistici) andate agli stessi titoli che hanno vinto il Leone d’argento ( Bumažnyi soldat) e il Gran premio della giuria ( Teza) e lo ha sottolineato esplicitamente il presidente della giuria Wim Wenders quando ha citato Mickey Rourke prima del regista Darren Aronofsky per spiegare l’attribuzione del Leone d’oro a The Wrestler e ha invitato la Mostra a modificare un regolamento che impedisce di attribuire le coppe Volpi per i migliori protagonisti a un film che abbia già avuto uno dei tre premi maggiori, cioè Leone d’oro, Leone d’argento e Gran premio della giuria.
Da qui a dedurre che The Wrestler avrebbe meritato per i sette giurati anche il premio per il miglior attore (andato invece a Silvio Orlando per Il papà di Giovanna di Pupi Avati) il passo è brevissimo. Quasi impercettibile.
A «incrinare» il trionfo di questi tre film c’è stata solo la coppa Volpi per la miglior attrice andata (meritatissimamente) a Dominique Blanc, la donna che sprofonda nella follia della gelosia in L’autre di Patrick Mario Bernard e Pierre Trividic. Oltre naturalmente al Premio speciale per l’insieme della carriera che Wenders ha voluto dare a uno dei suoi maestri, il sessantatreenne Werner Schroeter, minato nel fisico da un tumore pare molto aggressivo e che qui ha presentato Nuit de chien, sicuramente non il suo film più riuscito.
Dopo le «esternazioni» di Wenders sul regolamento, è evidente che esce molto ridimensionato il premio a Silvio Orlando (per altro decisamente convincente in un ruolo a rischio lacrima che invece l’attore italiano sa tenere a freno, sulle corde di una intensa malinconia), ma anche i sogni di un nuovo rinascimento italiano ricevono un duro colpo. Solo i più ingenui ottimisti potevano sperare che si ripetesse l’en plein di Cannes, dove l’Italia con Gomorra e Il divo aveva presentato due ottimi film che hanno entrambi ottenuto dei premi e, last but non least, hanno convinto il pubblico sfondando al botteghino.
La selezione italiana qui a Venezia non era all’altezza di quella sbarcata sulla Croisette e i quattro titoli in concorso (Özpetek, Avati, Bechis e Corsicato) rivelavano da subito qualche «compromesso diplomatico» di troppo. Bisogna però aggiungere che il caso e la fortuna hanno molto giocato a favore del festival di Cannes (da anni l’Italia non aveva due film così originali e così riusciti da offrire al concorso francese) e che, con una giuria meno eteroclita di quella chiamata sul Lido, forse Bechis avrebbe potuto sperare in un qualche riconoscimento. Invece sembra aver fatto presa prima di tutto la fluidità narrativa (che The Wrestler e Bunažnyi soldat possiedono in grande quantità) e poi la capacità di commuovere ed emozionare, che certo non manca al film americano, a quello russo e a quello etiope. E che si può trovare anche nei due film premiati con le coppe Volpi.
A essere «dimenticate» sono state soprattutto quelle qualità formali e stilistiche che a Venezia erano difese dai film più radicali e «cinefili». Penso a Vegas di Naderi, a Gabbla di Teguia, a L’autre di Bernard e Trividic e anche a film imperfetti ma comunque curiosi come quelli di Kitano o di Yu Lik-wai e persino ai due cartoni di Miyazaki e Oshii. Da questo punto di vista esce «sconfitta » dalla Mostra, e dal verdetto della giuria, l’ala dura e pura della cinefilia e quel «rigore» che Müller e i suoi selezionatori avevano difeso con foga. Anche se un verdetto che premia Hollywood (pur nella sua componente più indipendente) e non dimentica la Francia può essere molto utile, diplomaticamente parlando, per attirare i prossimi anni al Lido altri film di queste due fondamentali cinematografie.
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